Uno

Fascia di Attica, Styx Theta, Tanion

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    Kinder Buenos

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    Karen Jessen

       Fazione: Søndergaard Military Industries
       Ruolo: Ricercatrice



    Andarsene da lì era una parola. Una di quelle belle grosse.
    La pioggia incessante di colpi d'arma da fuoco non permetteva al trio di spostarsi. Colpi che provenivano da destra, sinistra e in certi momenti pure dall'alto. Non ci si poteva neanche sporgere che si rischiava un braccio o peggio. Un classico inferno in terra.
    Attesero il fuoco di risposta di Prudence e Naen per muoversi: Don Pedro si mosse per primo, conscio di essere il più armato, seguito da Jenkins con il geth dimezzato e infine lei, Karen.
    Era l'unica non armata ed era classificata alla pari di un civile, per cui sarebbe stato più logico metterla al centro del trio... ma non era lei a trasportare un "ostaggio". La sua posizione doveva servire a monitorare il geth, in quanto era l'unica a sapere vagamente il loro funzionamento.

    Grazie alla guida di Don Pedro, sfruttarono ogni anfratto di fortuna per avvicinarsi alla centrale di polizia. Di tanto in tanto, sfruttavano le abilità biotiche di Shane per sistemare velocemente un riparo o per pararsi da alcuni colpi.
    Erano poche le volte in cui ingaggiavano uno scontro, per lo più dettato per necessità. I due uomini cercavano di essere quantomeno veloci, così da sfruttare la sorpresa e finire prima il combattimento.

    Al momento si ritrovavano nuovamente con la strada bloccata dai geth. Il numero era superiore al loro e non c'erano zone d'ombra tra i ripari per passare inosservati.
    Una lunga fila di lampioni sembrava ancora in funzione, permettendo così a chiunque di avere la zona completamente illuminata.
    «Carretera cerrada» comunicò Don Pedro, mettendo in chiaro quello che pensavano tutti e tre.
    Questa volta non c'era modo di ingaggiare un rapido scontro e né di contare sul supporto di Prudence e Naen.
    «E ora come ci muoviamo?»
    Jenkins fu il secondo a mettere a nudo il pensiero del gruppetto. Se rimanevano lì per troppo tempo rischiavano di essere scoperti.
    Karen lanciò una rapida occhiata da oltre la copertura, intenta a ricavare qualche informazione utile. I lampioni erano il problema più fastidioso.
    «Posso entrare nella linea di gestione dei lampioni. Li spengo e ci muoveremo tra le ombre.»
    «Karen, quei cosi hanno una torcia al posto della faccia!» le fece notare il collega, indicando pure il geth che portava allacciato a sé.
    «Il señor ha ragione, inoltre non possiamo sparare alla loro luce o ci scopriranno.»
    «Basterà passare quando non vedono» concluse, mettendosi subito al lavoro.
    Il sistema della gestione delle luci era di fabbricazione turian: ben protetto, schematizzato e il tutto nella loro lingua. Le ci sarebbero voluti diversi minuti tra traduzione, hackeraggio e comprensione del sistema.
    «Quanto tempo ti manca?» domandò Jenkins, appena cominciò a sentire il frastuono provocato da un'esplosione.
    «Dieci o venti...»
    «Secondi?»
    «Minuti. I turian fanno le cose per bene.»
    «KAREN!» sussurrò poco più forte.
    La donna sbuffò spazientita dal suo richiamo. Non amava fare le cose di fretta.
    «Padre?»
    Al suono di quella voce monotonica, Don Pedro si voltò verso la ricercatrice.
    «Colpisca con un oggetto il lampione spento alla sua sinistra. Sfrutti il momento giusto.»
    Don Pedro la guardò piuttosto scettico sulle sue parole, ma provò comunque quello che gli era stato detto. Sfruttò il rumore di una seconda esplosione per colpire il lampione con un sasso.
    Il rumore provocato non si sentì, ma il suo effetto fu immediato: il lampione vibrò di molto poco, ma causò una spegnimento a catena della fila di lampioni a lui collegato. I geth, confusi da quell'avvenimento, si guardarono senza capire.
    «Questo succede quando usi quel modello. Hanno sempre alcuni problemi con i cavi, ma il risparmio sui soldi della cassa comunale è meglio dell'efficienza. I turian non fanno sempre le cose per bene» spiegò la donna.

    Grazie a quell'espediente, il gruppo riuscì ad avanzare senza dover ingaggiare uno scontro. Tutti e tre evitarono accuratamente di provocare rumori sospetti e di sfruttare ogni buona occasione, sia per i rumori provocati dai vari scontri che dalla pioggia, a tratti più incessante. Passato quel punto di blocco, continuarono a procedere più o meno spediti.
    In questo modo riuscirono a ritrovarsi a pochi metri dalla centrale, la quale sembrava avere il perimetro esterno momentaneamente sgombro dai nemici.
    Fu in quel momento che il geth, trasportato da Jenkins, riprese ad attivarsi.
    «Jenkins! Togliti subito il geth, si sta attivando!» ordinò.
    Sia lei che Don Pedro cercarono di slegarlo dai lacci di fortuna creati da Prudence, senza non poche difficoltà. La donna aveva stretto davvero bene quelle cinture.
    Riuscirono a liberare l'uomo giusto in tempo. Il geth ora veniva tenuto tra le braccia di Karen, pronta a ripetere l'operazione per "addormentarlo".

    Ma le cose non vanno mai secondo i piani prestabiliti.

    Il geth si riattivò completamente più veloce del previsto e con la stessa rapidità la macchina capì la sua situazione. Una violenta scarica elettrica si generò dal geth, che colpì sia lui che Karen. Entrambi erano bagnati per via della pioggia e possedevano grandi quantità di metallo sul loro corpo.
    La quantità elettrica provocò l'arresto completo del geth, disattivandolo completamente, ma al tempo stesso provocò lo spegnimento di ogni funzione "elettrica" del corpo di Karen. Il suo sistema di difesa aveva convogliato tutta la scarica nelle sue parti sintetiche non primarie, proteggendo così la parte organica e i suoi funzionamenti base.
    Sia Karen che il geth finirono a terra, immobili.

    Era a malapena cosciente, cieca, il battito del cuore diminuito, aveva difficoltà a respirare e con nessun arto funzionante. Quelli erano i sintomi più evidenti dall'esterno, nessuno poteva immaginare i dolori lancinanti che aveva ricominciato a sentire in tutto il suo corpo.
    Aveva da tempo imparato a non emettere alcun suono, ma le lacrime... erano difficili da bloccare. La pioggia martellante sembrava portarsele via, ma al tempo stesso ne creava di nuove.
    Un urlò di panico le arrivò all'unica orecchia ancora funzionante, quella che non era stata intaccata dalla sua malattia.
    «KAREN!»
    Sentì qualcosa avvicinarsi. Shane. La voce era sua.
    Si sentì raccogliere da terra. Nuovi dolori ad ogni tocco. Il suo sistema nervoso stava impazzendo.
    Ad ogni passo fatto dall'uomo, corrispondeva una nuova fitta. Perse momentaneamente coscienza.

    Non aveva idea di dove si ritrovasse al suo risveglio, forse in un luogo chiuso. Non sentiva più la pioggia. Erano arrivati alla centrale? Tutti e tre? E il geth?
    Karen poteva solo capire una cosa: non si sentiva più tenere da qualcuno, ma poteva percepire la sua schiena adagiata da qualche parte. Faceva molto freddo.

    Diverse parole confuse le arrivarono all'orecchio.
    «Iniettato... medigel... funziona... tutto»
    Era nuovamente Shane. Doveva essere spaventato o agitato, non riusciva a capire e non poteva vederlo.
    Provò a combattere il dolore. Sentiva troppo freddo.
    «Shane»
    Lo chiamò per nome con la sua voce, non quella senza tono a cui tutti erano abituati, ma alla sua vera voce. Era tremante, quasi troppo debole per essere sentita. Le sue corde vocali le sembravano immerse nel fuoco.
    «Non permettere che mi mettano nel freddo» disse, perdendo via via sempre più coscienza. Una nuova lacrima le cominciò a scendere sul volto.
    «Non di nuovo.»

     
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    Sithis Laenus

       Fazione: Forze Speciali Turian
       Ruolo: Guardianera



    Come si aspettava, la chiamata di Tanilia non tardò ad arrivare.
    "Lo so" - esordì Sithis, restando a guardia della struttura. Da solo non sarebbe stato facile, ma aveva opportunamente piazzato delle mine in ogni possibile accesso. Sperando che non vi sarebbe incappato qualcuno di più organico dei geth.
    Beh, la sicurezza aveva un costo.
    "Tanilia, rapporto".
    "Ho contattato immediatamente il sindaco Vitreus e ho fatto mobilitare le difese cittadine" - spiegò velocemente la turian - "Sono insieme a degli agenti e ci stiamo occupando dei civili...".
    "L'obiettivo è con molta probabilità UNO" - la interruppe Sithis - "Manda una truppa alle mie coordinate. Che siano ben armati e difesi adeguatamente. Mi è parso di vedere dei Nuclei Geth".
    "Agli ordini, comandante".
    Chiusa la chiamata, Sithis udì un rumore improvviso.
    Notor si trovò il fucile d'assalto puntato addosso non appena sbucò dall'apertura che, un tempo, doveva aver ospitato una porta - "Siamo nervosetti" - lo schernì.
    "Non uscire allo scoperto" - lo ammonì il turian - "Ce ne sono circa una ventina, appostati qui fuori. E presto ce ne saranno di più".
    "Cercano UNO".
    "Oh, wow, ora capisco perché abbiamo bisogno di voi" - Questa volta fu il turno di Sithis di schernire l'interlocutore. Per un attimo, una torcia sbucò dalla sua copertura, e immediatamente esplose sotto un colpo preciso e diretto di Sithis.
    "Quali sono le condizioni di UNO?" - domandò il comandante, ricaricando l'arma.
    "Sembra confuso. Ma ha ammesso di riconoscere quella stanza".
    "Beh, è un passo avanti" - Altre due teste Geth saltarono in aria, ma un colpo sibilò a pochi centimetri dalla sua testa.
    "Sithis, Kara ha bisogno di cure immediate" - disse allora il quarian - "Non credo si possa attendere oltre".
    Il comandante si fermò a guardarlo. Notor notò che guardare a lungo i suoi occhi lo metteva a disagio - "Hai il casco appannato, per caso? Guardati intorno".
    "Ti dico che non può aspettare" - Notor abbassò il capo, quasi sentisse il peso materiale di quei pensieri che gli passavano per la mente - "Devo portarla...".
    "Non posso gestire i Geth e Uno da solo!" - sbraitò Sithis, pochi istanti prima che un razzo si schiantasse contro le pareti della struttura, la quale vibrò pericolosamente.
    Il turian strizzò gli occhi, stordito dal boato. Quando li riaprì, Notor non era più al suo posto.







    Kara'Sharis vas Qwib Qwib

       Fazione: Flottiglia Quarian
       Ruolo: Ingegnere/ricercatrice



    Si sentiva bruciare. Persino il respiro, che entrava ed usciva a fatica dal suo corpo, sembrava fuoco.
    Erano stati soltanto pochi secondi...
    Un forte boato scosse l'intera struttura. Kara sentì nella stanza, da qualche parte, UNO che attivava i circuiti.
    "Uno" - chiamo, con il poco fiato che aveva - "UNO... dove...?".
    Qualcosa di pesante e metallico entrò a contatto con il pavimento - "Bisogna farla esplodere" - asserì il Geth.
    Nonostante il grave malessere, Kara si alzò a sedere - "Di che cosa stai... parlando?".
    Uno era all'angolo della stanza, la torcia puntata su di lei. Ai suoi piedi, un congegno sferico che sembrava parecchio antiquato. Era convinta di averlo già visto da qualche parte, ma non ne era certa. La testa le faceva così male...
    Il Geth scosse la testa, come se fosse scosso da un brivido - "Silenzio" - mormorò. Poi, fece un passo indietro, si chinò con l'intento di riprendere il congegno sferico, ma subito si rialzò con uno scatto. Un altro passo indietro.
    "Creatore... Xendal?".
    Kara restò allibita - "No, UNO. Io non sono...".
    "Dov'è il creatore Xendal?".
    "UNO..."
    "SILENZIO" - questa volta il Geth si colpì con violenza al lato della testa. La sua luce sfarfallò.
    Kara si sentiva tremendamente male, eppure non poteva neanche lontanamente pensare di lasciarsi andare. Qualcosa di terribile stava accadendo ad UNO, e temeva potesse tornare nuovamente violento come prima.
    "Bisogna farla esplodere".
    La quarian tossì, e un forte dolore si accese in tutto il corpo.
    UNO le si avvicinò.
    "No... stammi... lontano".
    "Creatore Xendal, il suo ruolo è terminato" - il Geth attivò il factotum - "Il creatore Xendal non serve più. Uno non serve più".
    Kara tentò di scappare, ma non appena rimesse le gambe a terra, queste cedettero.
    UNO la raggiunse e la prese delicatamente tra le braccia - "...Ogni tramonto... appicca un fuoco sul mondo".
    Kara rabbrividì. A pronunciare quelle parole non era stata la voce di UNO, bensì una registrazione.
    Era la voce di un quarian.
    Era la voce di Faen'Xendal.
    Poi, tutta la stanza cominciò a vorticare, e Kara fu ricatapultata nell'incoscienza.

    "Mettila giù, UNO".
    Notor aveva la pistola spianata, ma il suo corpo era visibilmente teso.
    UNO lo squadrò, incuriosito - "Creatore Xendal?"

     
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    Nevith Menae

       Fazione: Consiglio
       Ruolo: Spettro



    Nelle ultime ore era successo il pandemonio, e tutto a causa di un unico Geth anomalo, è incredibile come un "piccolo" avenimento come UNO potesse causare un casino del genere...
    Anche se, a pensarci bene, non era neanche così sorprendente.

    Nevith era arrivato solo qualche ora dopo il resto della squadra e li aveva tenuti d'occhio il più possibile, cercando di interagire il meno possibile con loro essendo sotto copertura. Il suo obbiettivo principale era valutare se il Geth chiamato UNO potessere essere considerato una minaccia o meno, ed in caso, occuparsene. Aveva trovato il ruolo adatto fingendosi un membro delle forze armate della colonia, soprattutto dopo quello che la turian che aveva scoperto chiamarsi Tanilia aveva chiesto una volta chiusa la chiamata. Si stava prendendo cura di un civile colpito alla gamba da un Geth disinteressato da quello che stava succedendo, fino a quando il suo Factotum si illuminò mostrando un messagio del consiglio. Due sole parole: "Via libera."
    "Vado io, mi porterò dietro qualcun'altro dalla centrale. Restate qui e cercate di non farvi ammazzare" esordì ancora accucciato a terra, era il momento di far saltare la testa a quell'ammasso di ferraglia.
    Si alzò e si avvicinò a Tanilia per potersi far inviare le coordinate, per poi correre verso la centrale in cerca di qualche armamento migliore, se la Guardianera aveva ragione, doveva decisamente equipaggiarsi meglio per affrontare dei Nuclei Geth

    Giunse in centrale con non pochi problemi, e decisamente con non poche imprecazioni durante il tragitto. Quel Geth appostato nel palazzo gli aveva quasi fatto perdere il cuore in un infarto... e anche la testa, a dirla tutta. La centrale era nel caos, tra civili che venivano portati all'interno per essere messi al sicuro e truppe schierate nei dintorni per proteggere la struttura.
    Uno degli agenti di guardia alla porta centrale si sposò per fare entrare lo spettro sotto copertura, che non aveva ancora smesso di correre.
    Una voltà nell'armeria della caserma, Nevith riprese fiato guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa di abbastanza rumoroso e grosso. I suoi occhi vagarono per la moltitudine di armi per un po' prima di fermarsi su un lanciarazzi ML-77, che afferrò velocemente mettendoselo in spalla.
    Fece per andare da solo, sicuramente avrebbe avuto meno problemi, ma senza rinforzi non era sicuro di riuscire a farcela. Una volta tornato nell'atrio, fermò per un braccio un agente che stava li in zona
    "Raduna una squadra e venite a queste coordinate il prima possibile, ben armati e difesi." gli disse con un tono piuttosto frettoloso e scocciato, quasi a non voler ammettere di aver bisogno di aiuto., inviandogli le coordinate.
    L'agente lo squadro stupito e leggermente confuso per l'ordine ricevuto da un tipo di cui non sapeva nulla, per poi annuire lentamente guardando Nevith "Uhm... ok?"
    "Beh? Che aspetti? Che ti stenda il tappeto rosso davanti ai piedi o che ti dia un calcio in culo?" disse bruscamente e lasciando il braccio dell'agente con uno strattone, per poi togliere la sicura alla sua pistola uscendo nuovamente dalla centrale.

    Raggiungere le coordinate non fu tanto difficile, o perlomeno, fu meno difficile di quello che Nevith si era immaginato. Il problema era riuscire ad entrare nella casa senza farsi trivellare di colpi dai non so quanti Geth appostati intorno e dalle mine che qualche idiota doveva aver messo intorno alla casa per difendersi. Come si aspettava che una truppa di supporto potesse arrivare li senza esplodere, volando?
    Nevith rimase nascosto per un po', cercando di elaborare un piano per arrivare alla postazione ancora tutto d'un pezzo. Si rese conto che l'unico modo era uno, correre verso la casa, proteggersi il più possibile, e pregare gli spiriti di riuscire ad arrivarci ancora vivo. Questo poteva fargli superare i Geth, ma le mine? Decise di pensarci una volta arrivato davanti ad esse.
    Si mise in posizione, pronto a correre in direzione della porta, quando vide un missile partire da non seppe ben dire dove schiantarsi contro le pareti della struttura, facendola vibrare decisamente di più di quanto avrebbe dovuto
    "...Oh fanculo" disse sottovoce per poi lanciarsi a tutta velocità verso la struttura ancora pericolante per l'esplosione, difendendosi il più possibile dai proiettili dei Geth con uno scudo supplementare creato tramite i suoi poteri bionici, stringendo la pistola nella mano destra e sporadicamente rispondendo al fuoco dei Geth.



    Edited by Nevith - 27/10/2022, 23:33
     
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    Naen Gornis

       Fazione: Nessuna
       Ruolo: Agente di polizia



    Se mai fosse uscita viva da quel disastro, Naen avrebbe chiesto minimo tre mesi di congedo... ma data la situazione in cui l'aveva messa la suora, le possibilità di visitare un qualche posto tropicale erano molto minime.
    Però diamine se era brava l'umana: pur dimostrando di saper usare bene quei muscoli, c'era una certa eleganza nel modo con il quale frantumava le torce dei Geth... Cose che all'accademia di polizia non insegnavano.
    E l'idea di distrarre i Geth stava funzionando egregiamente, visto che ben presto almeno venti unità tra lanciafiamme, lanciarazzi e nuclei rinfoltirono i ranghi dei nemici.
    "Ascolta, Sorella" disse la Turian mentre forniva fuoco di copertura a Prudence "probabilmente con il giusto tempo faresti fuori tutti questi bastardi anche da sola, ma più tempo passa e più sarà difficile raggiungere gli altri. Distrai quel nucleo laggiù, ci penso io a riequilibrare la partita."
    Così, mentre la suora si lanciava a capofitto verso il gruppo più grande di nemici, Naen corse in direzione opposta: davanti a lei c'erano una manciata di soldati normali che avrebbe tolto di mezzo facilmente, se non fosse stato per il martellamento continuo dei colpi di un nucleo Geth alle loro spalle. Raccolse dalla cintura una granata accecante che lanciò nel gruppo di soldati e approfittò del momento di stordimento per passare direttamente in mezzo a loro. L'effetto della luce aveva schermato la sua posizione anche agli occhi del Nucleo, che repentinamente continuava a sparare con il suo cannone in direzione della sua precedente copertura, e quando si accorse che Naen si fosse arrampicata sul lampione vicino a lui, era ormai troppo tardi.
    "Ehi, lampada gigante!" gridò la Turian al Nucleo per farlo girare totalmente verso di lei, e sfruttando la nuova posizione, Naen si lanciò direttamente verso il braccio armato del Geth, avvinghiandovisi con le gambe, mentre con le braccia faceva presa sulla mano.
    Nel tentativo di liberarsi della presa, il gigante iniziò ad agitarsi con tutto il corpo, mentre Naen imprimeva quanta più forza possibile sulle dita che schiacciavano il grilletto. Irrimediabilmente, il Geth iniziò a sparare totalmente a caso e molti di quei colpi finirono per coinvolgere i suoi stessi compagni sintetici. Quando il Geth capì che sarebbe stato molto meglio fermarsi e usare l'altra mano per afferrare la piccola turian, ella lasciò la presa e si arrampicò fino al collo dove, tenendosi avvolgendosi con le gambe, iniziò a prendere a colpire con i pugni la luce della sua testa. Di tutta risposta, il Geth lasciò cadere il cannone nel tentativo di liberarsi di lei con entrambe le mani.
    "Prudence, sparagli alle gambe! Ora!" urlò mentre, lasciando perdere i pugni, si teneva con forza alla testa del sintetico cercando di tardare il più possibile il momento in cui si sarebbe liberato di lei.
    Prontamente il soccorso di Prudence arrivò, ed il Geth gigante vacillò facendo un passo in avanti esattamente dove aveva lasciato andare l'arma, sulla quale inciampò ruzzolando direttamente addosso all'altro Nucleo.
    Quando, ritrovatasi a terra in mezzo ad ancora troppi Geth, provò a coprirsi agguantando il cannone caduto al Nucleo, si accorse che era fin troppo pesante. Riuscì a stento a puntarlo verso i due Nuclei che si stavano rialzando e, concentrando il peso a terra sedendosi, schiacciò il grilletto.
    "PRENDETE QUESTO, BRUTTI BASTARDI!" gridò mentre i colpi incessanti del cannone impedivano ai Nuclei di riprendere l'equilibrio. Furono i colpi alle sue spalle che si scontravano contro gli scudi a riportarla alla realtà.
    "Prudence cara, penseresti a quelli piccoli?"



    Notor'Fenna vas Qwib Qwib

       Fazione: Flotta Migrante
       Ruolo: Studioso



    "Lasciala andare subito, ti ho detto!" ribadì Notor, avvincinandosi di più al Geth e assicurandosi di puntarle pistola contro la sua testa.
    "Creatore Xendal, non era forse questo il tuo volere?" chiese Uno, mentre la sua luce si accendeva e spegneva ad intermittenza, in senso di confusione. "Morte, agonia, catastrofe... Quiete e silenzio. Dobbiamo farli smettere."
    Notor sospirò e scosse la testa "Non ho tempo per queste cose." affermò poi, e mirando alla gamba di Uno sparò un colpo. Il Geth crollò a terra e lasciò la presa di Kara, che venne prontamente soccorsa dal quarian prima che potesse finire a terra.
    "Non mi hai lasciato altra scelta, Uno. Nessun rancore."
    "Creatore Xendal... perchè?" chiese Uno mentre la sua luce continuava a lampeggiare. Il Geth era a terra, e la sua gamba ferita produceva di tanto in tanto delle scintille.
    "Per l'ultima volta, Uno: non sono il tuo creatore. Sono Notor, e se farai un'altra volta del male a Kara, il prossimo colpo non sarà alla gamba."
    Con in braccio Kara, Notor si voltò verso l'uscita, ma un 'click' seguito da un tintinnio lo fecero girare di nuovo verso Uno.
    "Keelah, Uno! Che cosa diamine hai fatto, brutto idiota di un bosh'tet?" gridò Notor notando subito l'ordigno sferico tra le mani del Geth.
    "Ogni tramonto... appicca un fuoco sul mondo."



    Naen Gornis

       Fazione: Nessuna
       Ruolo: Agente di polizia



    Raggiunsero la centrale pochi istanti dopo Karen, Jenkins e Pedro. Il gruppetto non trasportava più il Geth senza braccia, ma era Karen stessa ad essere portata in spalla da Jenkins.
    "Cos'è successo?" chiese Naen mentre aiutava l'umano a riporre delicatamente a terra la ricercatrice.
    "Ha salvato la vita a questo pendejo" rispose Don Pedro posando una mano sulla spalla di Jenkins "E c'è rimasta fritta."
    "Dovrebbe rimettersi" commentò Jenkins passandosi una mano sul volto per asciugare l'acqua piovana che la inumidiva. "Le nostre tecnologie sono fatte per resistere alle scariche... questa era bella grossa però."
    "Naen! Naen, sei viva! Siete vivi!" esclamò Galan correndo verso di loro e abbracciandola. Per l'occasione anche lei si era messa addosso una corazza leggera.
    "Gal, per gli Spiriti, che diamine sta succedendo?"
    "Penso... penso siano qui per Uno. Abbiamo già mandato una squadra di rinforzi verso la sua posizione."
    Naen si portò una mano alla fronte.
    "Spiriti, Galan guardati intorno!" sbraitò la turian indicando prima Karen, che stava ancora a terra accudita dagli altri due umani, poi all'uscita della caserma "La tua città è in fiamme, la tua gente sta morendo, e perchè? Per una caffettiera con le gambe! Torna alla realtà, Galan, quella cosa deve sparire, insieme a tutti gli amici che si è portata dietro."
    Galan aggrottò la fronte e si morse un labbro. I suoi occhi di sfida penetrarono quelli di Naen, ma l'altra turian non sembrò vacillare.
    "Intanto respingiamo i Geth e portiamo gli altri in salvo. Al resto ci penseremo dopo."
    "Non ci sarà un dopo. È finita. Non ti faranno più neanche avvicinare a Uno, lo rinchiuderanno da qualche parte e non fregherà più niente a nessuno se sei la figlia del sindaco, il consigliere Turian o il Primarca. Hai fatto una cazzata e ne pagheremo tutti le conseguenze."
    Senza aspettare una risposta, Naen girò i tacchi, imbracciò il fucile e con i passi pesanti uscì dalla caserma.

    Pochi attimi dopo, un boato in lontananza riecheggiò nell'aria.

     
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    Banshee

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    Prudence Judicael

       Fazione: Ordine delle Quattro Virtù
       Ruolo: Adepta




    < Ho come l'impressione che non ci troviamo più su Tanion, vero Sephyr? >
    Prudence aveva visto cose troppo strane nella sua breve vita per stupirsi più di tanto. Lei sapeva che esisteva un intero Universo al di là di quello ufficiale; lo sapeva perché lei lo aveva visto, più volte. Tutti coloro ai quali aveva raccontato le proprie esperienze ultraterrene, avevano sentenziato che la suora fosse affetta da schizofrenia acuta e che tutto ciò che presumeva avere visto, non era altro che il frutto della sua mente malata. Anche gli psicologi di Santa Romana Chiesa non avevano creduto a una parola dei suoi racconti. 'Pazza' era la parola più gentile che si trovava sui suoi rapporti psicologici...ma era una pazza troppo utile alla Causa per essere esonerata dal servizio ovvero, le sue capacità combattive erano molto più preziose dei suoi presunti difetti mentali.
    Prudence stessa non era sicura al 100% che tutto ciò che aveva visto non fossero altro che visioni ma c'era la Voce...Sephyr...come poteva giustificare la Voce? Anch'essa frutto della sua mente fragile?

    < Sì. > rispose Sephyr serafico < E no. > aggiunse con un sorriso.

    La ragazza andò a sedersi accanto al demone, su una comoda panchina di legno con braccioli in ferro battuto intarsiato; una panchina che non esisteva più sulla Terra se non in qualche museo dedicato all'arte ottocentesca. Tutto in quel luogo era in arte ottocentesca: le pensiline, la volta a vetri, le colonne anch'esse di ferro dipinte di verde che sorreggevano la volta e, ovviamente, anche i binari che si trovavano al di là della linea gialla.

    < Sono...morta? > domandò Prudence senza particolare stupore nella voce.
    Sephyr annuì compiaciuto.
    < Non me ne sono neanche accorta...cosa è successo? > incalzò la suora curiosa, lasciandosi cadere contro lo schienale della panchina.
    < Avevate quasi raggiunto la cripta quarian e stavate combattendo corpo a corpo con svariati fanti geth. Uno dei fanti ha calpestato una delle mine anti-uomo che Sithis aveva piazzato fuori dalla struttura; l'esplosione l'ha mandato in pezzi e un frammento metallico del geth ti ha centrato il cuore, spaccandolo. Sei morta all'istante ma Don Pedro non si da per vinto: ha già estratto il frammento e con l'aiuto di Galan stanno facendoti un massaggio cardiaco. >
    Prudence sorrise < Quel Sithis è talmente stronzo da ammazzare la gente anche indirettamente. >
    Anche Sephyr sorrise < Chi nasce quadrato, non può morire rotondo, giusto? >

    La stazione in cui si trovavano sembrava non avere fine con decine e decine di binari una accanto all'altro che si susseguivano a perdita d'occhio; non vi erano luci artificiali ad illuminare l'ambiente eppure tutto era rischiarato da un etereo chiarore candido, disturbato solo da una leggera foschia che rendeva l'atmosfera piuttosto rilassante.
    Ad un tratto, Prudence rialzò la schiena, attratta d alcuni movimenti provenienti dal binario accanto. C'era un'intera famiglia turian - madre, padre e due bambini piccoli - che avanzavano verso una panchina identica a quella dove era seduta; i due genitori avevano un bel da fare a tenere in linea i due bambini che correvano a destra e a manca incuriositi da ogni più piccola cosa. La femmina turian incrociò lo sguardo di Prudence e fece un leggero inchino di soluto a cui la suora replicò alzando la mano con un sorriso, imitata nel gesto da Sephyr.
    < Non pensavo che anche i turian... > disse Prudence indicando la famigliola felice.
    < Le credenze sono diverse ma il principio è sempre quello: gli esseri dotati di anima prima o poi muoiono. Guarda... > aggiunse il demone indicando il binario alle proprie spalle.
    Prudence si voltò e quasi sobbalzò quando vide che, seduti fianco a fianco su una panchina vi erano un geth e un quarian impegnati in un'animata discussione. < Che mi venisse un colpo secco! > esclamò divertita.

    I due rimasero in silenzio a guardarsi attorno, incuriositi dai vari personaggi che popolavano quei binari: un paio di asari che si abbracciavano...un salarian intento a smanettare sul suo factotum...un krogan grande e grosso che continuava a lanciare un legno al proprio varren e questo, oggettivamente felice, che correva a prenderlo per poi riportarglielo.
    A intervalli irregolari, il fischio acuto di una locomotiva a vapore preannunciava l'arrivo di un treno invisibile che si materializzava mano a mano che si avvicinava al binario. Il treno si fermava fra sbuffi di vapore e le eleganti porte delle carrozze si aprivano in corrispondenza delle panchine occupate. Un raffinato ferroviere in divisa blu scendeva dal treno e con gesti eleganti, dispiegava i gradini di ferro battuto che avrebbero aiutato i passeggeri ad imbarcarsi dopo di che, servizievole, prestava aiuto ai passeggeri porgendo ora la mano alle signore, ora a rincuorare i più restii a salire e...il ferroviere del krogan grande e grosso ebbe un bel da fare prima di riuscire a imbarcare il varren. Quando i passeggeri erano a bordo, il ferroviere portava un fischietto alla bocca, lasciava partire un lungo fischio e alzava la mano. La locomotiva dava pressione alle caldaie e, con un leggero sobbalzo, il convoglio riprendeva lentamente la marcia mentre altri passeggeri prendevano il posto di quelli appena partiti.

    < Sono tutti uguali... > fece notare Prudence riferendosi ai convogli < ...pensavo che fossero diversi quelli che vanno...sù...rispetto a quelli che vanno...giù... >
    Sephyr annuì comprensivo < La Morte è uguale per tutti Prudence: buoni o cattivi, per lei non fa differenza. L'importante è che a fine giornata i Suoi registri siano compilati con il giusto numero di anime. Il suo compito è portare le anime a destinazione, qualunque essa sia. E' il suo lavoro senza fine e non c'è motivo di spaventare i suoi clienti prima del dovuto, non credi? >
    < E come si capisce se... > abbozzò Prudence, curiosa di sapere quale sarebbe stata la sua destinazione finale.
    < Lo senti qui... > disse Sephyr mentre appoggiava la sua mano al petto della suora, all'altezza del cuore. Come sempre, la mano si smaterializzò al contatto col corpo della donna e quasi scomparve < ...e lo sai qui. > aggiunse portando le sue dita al volto della ragazza, in una carezza eterea.

    I due rimasero seduti a lungo. Di tanto in tanto, un treno arrivava a uno degli altri binari e poi ripartiva. Ne arrivarono uno, due...dieci...ma quello del loro binario sembrava proprio essere in ritardo.
    < Comincia a rendermi nervosa questa attesa! > esclamò ad un tratto Prudence, agitata.
    < Sarà un treno guidato da un italiano... > buttò lì Sephyr divertito.
    < Scemo! > replicò Prudence con una delle sue risate cristalline.
    < Ecco...le tue risate saranno tra le cose che più mi mancheranno, lo sai? E i tuoi occhi viola...i tuoi capelli azzurri...le tue labbra...le tue labbra... >
    < Non puoi venire con me? >
    < No, non posso. C'è posto per una sola anima sul treno in arrivo. >
    Prudence annuì e, anche se sapeva fosse inutile, si fece più vicina a Sephyr e appoggiò la sua mano là dove il demone teneva la sua. Le loro mani si fusero insieme, carne e spirito.
    < Perchè tarda tanto? >
    < E' un caso difficile, Prudence...credo sia la prima volta che Lei si trova davanti a una scelta del genere. >

    Restarono così per un tempo che sembrava infinito, con le loro mani intrecciate, ad assaporare quegli ultimi istanti in reciproca compagnia. Anche a Prudence sarebbe mancato molto Sephyr; aveva imparato a conoscerlo e ad amarlo, in un certo senso e ora, per il resto dell'eternità, non avrebbe più potuto vederlo.




    Poi, finalmente, un fischio acuto proveniente dalla sinistra spezzò quel silenzio. La locomotiva si materializzò lentamente mentre rallentava la sua andatura fino a che una delle porte della carrozza passeggeri si fermò proprio di fronte alla panchina di Prudence.
    Il ferroviere scese, preparò i gradini e infine, con un gesto di invito, mosse le sue mani inguantate di bianco indicando la porta aperta.
    Prudence tirò un lungo respiro e si fece coraggio, alzandosi dalla panchina e coprendo i 5 passi che la separavano dalla carrozza. Sorrise al ferroviere che ricambiò gentile ma quando la ragazza stava per fare il primo gradino, la mano inguantata di bianco le si parò davanti.
    < Mi dispiace, signorina. > disse educato il ferroviere < Non sono qui per lei. Per favore, lasci libero l'ingresso. Prego, signore. >
    Prudence rimase di sasso mentre Sephyr le sfilava accanto e cominciava a salire i piccoli gradini.
    < Ma...Sephyr...cosa...> balbettò la ragazza incredula.
    Sephyr si aggrappò al palo posto in mezzo alle porte e si girò verso la ragazza, un piede sul gradino e l'altro ancora appoggiato a terra.
    < Te l'ho detto, per Lei l'importante è che i Suoi registri abbiano il giusto numero di anime. Le ho chiesto un favore in nome della nostra lunga amicizia: un'anima, per un'anima. La mia anima per la tua anima. >
    Prudence guardava il demone con gli occhi pieni di lacrime; per la seconda volta Sephyr era riuscito a salvarla dalla Morte e per la seconda volta lo aveva fatto senza chiedere nulla in cambio.
    < Portami con te, Sephyr! > disse Prudence singhiozzando < Cosa farò...da sola? Non posso...più stare senza di te! >
    < Te la caverai, Pru! > rispose semplicemente il demone.

    Con un ultimo gesto d'affetto, Sephyr allungò la mano per asciugare una lacrima che stava rigando il viso di Prudence. La mano si avvicinò, leggera e poi...calore!
    Prudence sentì calore sulla sua guancia e poi un leggero solletico là dove il pollice di Sephyr la sfiorò delicata. La ragazza portò la sua mano sul dorso di quella di Sephyr, tenendola stretta contro il suo viso, chiudendo gli occhi per imprimersi nella memoria quell'istante.
    < Finalmente ti sento... > disse Prudence riaprendo gli occhi e fissando Sephyr con amore.
    Si alzò sulle punte dei piedi e il demone si sporse il più possibile verso di lei fino a quando le loro labbra entrarono in contatto. Si baciarono a lungo, un bacio dal gusto salato delle loro lacrime che si miscelavano mentre, copiose, scendevano dai loro occhi. Prudence sentiva come un fuoco che invadeva il suo cuore...una fiamma incandescente che le riempiva il cuore.
    Si sarebbero baciati per sempre se il ferroviere, con un educato colpetto di tosse, non avesse richiamato la loro attenzione.
    < Ci rivedremo presto, amore mio... > disse Sephyr mentre saliva il gradino anche con l'altro piede, tornando alla sua forma eterea < ...ma non ancora...non ancora... >


    < Continua a tenerle le gambe sollevate! > gridò Don Pedro alla turian.
    L'uomo mollava dei gran colpi al petto di Prudence nel tentativo di riattivare il suo cuore. Quanto tempo era passato ormai? 10 secondi? 20 secondi?
    < E' inutile! > replicò Galan stizzita < E' morta! MORTA! MO... >
    Prudence si alzò a sedere senza fatica, allontanando delicatamente Don Pedro che la guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
    < Madre de Dios! > esclamò il parroco facendosi il segno della croce < E' un miracolo! >
    La ragazza rimase in silenzio a lungo.
    "Sephyr?" domandò nella sua mente senza ricevere risposta "Sephyr?" continuava a ripetere sperando di sentire la sua voce ancora un'ultima volta.
    < Se n'è andato, padre! > disse la donna tirando su dal naso.
    < Chi se n'è andato? >
    < Non c'è più...non c'è più! >
    Prudence si gettò tra le braccia di Don Pedro, in un pianto disperato. < Non c'è più e non gliel'ho detto...non ho fatto in tempo! > ripeteva la ragazza, inconsolabile.
    Don Pedro, confuso, abbracciò Prudence con dolcezza e cominciò ad accarezzarle il capo con fare paterno.
    < Jo no sabe cosa è successo, sorella...ma puoi dirglielo ora...credo che ti sentirà, chiunque lui sia e ovunque lui sia. Tranquilla...cosa non gli hai detto? >
    < Che aveva ragione, padre...brucia...non sapevo che bruciasse...l'amore...l'amore, brucia! >


     
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    Karen Jessen

       Fazione: Søndergaard Military Industries
       Ruolo: Ricercatrice



    Lo stato d'incoscienza della ricercatrice, in quella situazione d'emergenza, non era che un'altro problema per tutti coloro che erano barricati nella centrale.
    Karen era stata stabilizzata al meglio delle possibilità, ma non mostrava segni di apparente ripresa. Il corpo stava rispondendo bene alle cure e allo shock subito, ma la donna non si svegliava.
    La mente della ricercatrice era ancora in gran parte organico e, ironicamente, era quella parte a bloccare la donna in quello stato.

    In quel momento era la stessa Karen a non sapere come tornare dagli altri.
    Era convinta che Jenkins l'avesse tenuta lontana da quello che aveva richiesto, il che era un bene per lei, ma non capiva perchè non fosse su Tanion ma all'Operaen, il Teatro dell'Opera di Copenaghen, nel ventunesimo secolo.
    Perchè mai ne era convinta? La sua memoria ricordava piuttosto bene gli interni di quel teatro, inoltre nel pubblico erano solo presenti umani e con abiti che non appartenevano al ventiduesimo secolo.

    Non aveva idea del perchè fosse lì, in mezzo a quelle persone. I ricordi della piccola Karen non erano mai improntati molto verso cose così specifiche, erano più eventi importanti che aveva voluto mantenere. Spesso erano dolorosi, ma in quelli più importanti di solito figuravano i suoi amici o la propria famiglia.
    Karen osservò meglio, notando come le persone lì erano per lo più sfuocate o senza dettagli, persino il teatro in sé era abbozzato.

    «Mor inizierà tra poco» l'avvisò una voce acuta sulla sua sinistra.
    La ricercatrice si voltò in quella direzione, riconoscendone la voce. Accanto a lei sedeva poco composta una bambina dall'età di cinque-sei anni, vestita elegante per quell'occasione a teatro.
    I suoi occhi color cioccolato la fissavano da oltre dei piccoli occhiali dalla montatura colorata.
    «Mamma? Vuoi dire tua madre?»
    La bambina la guardò stranita, come se avesse appena detto qualcosa di strano e incapibile.

    «Karen, guarda! La mamma è sul palco!»
    Un uomo apparve nella visione della donna, seduto proprio dall'altro lato della bambina. I capelli scuri mostravano i primi segni di grigio, mentre i baffi arricciati verso l'altro mostravano ancora il loro colore originali. I suoi occhi erano la copia esatta di quelli della piccola, anche nel loro colore, lo stesso che un tempo possedeva la stessa Karen.
    Non erano rivolti però alla donna, ma alla piccola seduta tra loro. Per lei era rivolto anche un sorriso paterno, mentre la mano dell'uomo stringeva la piccola mano fasciata della bambina.
    Solo allora Karen notò che la piccola aveva fasciature su gran parte delle zone lasciate visibili dall'abito e dai capelli sciolti.
    Un coro di applausi distolse la sua attenzione per portarla sul palco: c'erano diversi musicisti già pronti con i loro strumenti e in attesa di suonare, mentre accanto a loro figurava una donna dai capelli biondi e raccolti e con un lungo abito blu scuro.
    Quando il silenzio discese completamente in sala cominciò il concerto e la donna a cantare.
    Ma Karen non riuscì a sentire nessun suono, benchè li vedesse in azione. Sapeva che il concerto era iniziato, ma il silenzio era l'unica cosa che usciva dalla bocca della donna e dagli strumenti.

    «La mamma è brava, vero?» le domandò la vera Karen, rivolgendo il suo sguardo nuovamente su di lei.
    «Non... non lo so. Non riesco a sentirla» ammise la donna.
    Era strano, lei sapeva che i ricordi di Karen le permettevano di ricordare la voce della madre. Come non poteva? Sapeva che la donna era stata una cantante lirica, per cui la sua voce era ben impiantata nella memoria della bambina... ma in quel momento non riusciva a sentirla.
    «Perchè questi sono i miei ricordi, non i tuoi» ammise la vera Karen, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, «I sono Karen Jessen. Tu chi sei?»
    «Una tua copia» ammise nuovamente, portando il suo tono di voce ad essere uguale a quello monotonico che usava sempre.
    Non si era accorta di non usarlo fino a quel momento, come non si era resa conto che nemmeno lì possedeva un corpo completamente organico.
    «Lo sei?» fu l'ultima domanda che sentì, prima di non vedere più nulla e finire nuovamente catapultata in qualcosa di freddo.

    «Karen? Ehi Karen? Svegliati! Qui le cose non si stanno mettendo bene, c'è appena stato un boato enorme! Ti prego... non dirmi che ho sbagliato qualcosa con i dispositivi! Anzi... dimmelo! Così almeno so che sei viv-»
    Occhi violacei e innaturali si aprirono in quell'istante, mettendo a tacere l'amico accanto a lei.
    L'uomo portò una mano nei capelli bagnati, sorpreso da quella reazione.
    «Sarebbe chiederti troppo una parola? O... O questo è solo un riflesso meccanico? Oh no, Karen!»
    Alla nuova menzione del proprio nome, la ricercatrice danese si portò seduta.
    «Status della situazione, Jenkins?»
    «Il geth che portavi ti ha fritto, ti ho sistemata... credo. L'agente Gornis è qui con noi in centrale, così come la suora e il prete. Fuori è un inferno fatto geth» la informò l'uomo, osservandola preoccupato.
    Karen poteva sentire lo sguardo del collega su di sé, ma la propria mente era divisa nel capire l'attuale situazione e quello che aveva... sperimentato? Vissuto? Sognato? Come poteva definirlo in termini logici?
    «Notizie dagli altri?» domandò, mentre il suo sguardo si dirigeva verso Prudence che stava farneticando qualcosa contro Don Pedro e Galan. Le sembrò alquanto scossa, era forse caduta preda dell'instabilità emotiva della situazione?
    «Hanno mandato una squadra, ma con tutti questi geth la vedo dura andare o anche tornare qui.»
    La danese annuì comprensiva, la situazione si stava aggravando per loro e non doveva assolutamente essere meglio per le forze dell'ordine
    e per i civili.
    «Poco prima del tuo risveglio c'è stato un enorme boato lontano da qui» aggiunse Shane, passandosi nuovamente la mano tra i capelli.

    Senza perdere ulteriore tempo la donna si rimise in piedi, mostrando a Shane come non vi fosse alcun danno apparente nelle funzioni base delle tecnologie impiantate in Karen.
    «Dobbiamo trovare un modo per stabilizzare questa situazione. Jenkins, è ha conoscenza se hanno già inviato un segnale di socc-»
    Le sue parole vennero soffocate da un lancio di un asciugamano mezzo bagnato sulla testa della danese, coprendone anche il volto.
    «Asciugati un po' prima o prenderai freddo, ti ammalerai e sarai completamente inutile»
    «Signor Jenkins» obiettò Karen, non togliendo l'asciugamano dal punto in cui era atterrato, «E' stato provato che non è il bagnato a provocare un abbassamento del sistema immunit-»
    «Sì sì, come vuoi tu» la bloccò, cominciando ad asciugarle volto e capelli alla bell'e meglio.
    «Il messaggio è stato inviato prima che arrivassimo qui, quindi ora il problema è aspettare e aiutare chi non può.»

     
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